Quello tra vegani e carnivori è divenuto, negli ultimi anni, una sorta di conflitto culturale che sembra non arrestarsi: se da un lato vi è sempre un più nutrito numero di persone che decidono di non assecondare l’industria alimentare basata sull’allevamento del bestiame, di contro vi è una schiera di persone che non saprebbe mai rinunciare ad una succulenta bistecca alla fiorentina in barba allo sfruttamento degli animali e del pianeta. Chi dei due ha ragione? Nessuno anche perché proviamo un attimo ad immaginare un pianeta i cui abitanti all’improvviso smettessero di nutrirsi (anche) di carne, quale scenario si prospetterebbe?
In questo senso ci viene incontro un articolo di BBC Future che ha tentato di disegnare uno scenario che avrebbe importanti conseguenze in alcune aree del pianeta; se da un lato i paesi industrializzati avrebbero dal vegetarianismo un beneficio innegabile sia come impatto ambientale sia a livello di salute, nei paesi meno sviluppati la situazione potrebbe essere più devastante.
Come sappiamo produrre cibo, e carne nello specifico) costa molto da un punto di vista economico e di risorse naturali utili alla lavorazione del prodotto; si calcola che circa un quarto dell’intera produzione del gas serra creato dall’uomo derivi proprio dall’industria animale. Per questo, ipotizzando uno scenario, per alcuni ideale, in cui nessuno mangi più carne, ci troveremo nel 2050 con le emissioni di anidride carbonica calate addirittura del 60%/70%.
A confermare l’eventuale beneficio di un mondo vegetariano, c’è anche il fatto che oltre il 60% delle terre coltivate sulla terra viene utilizzato per l’allevamento del bestiame; qualora dovessimo diventare tutti vegetariani, la quasi totalità dei terreni dovrebbe essere riconvertita in terreni agricoli ripristinando una vegetazione in grado di assorbire l’anidride carbonica presente nell’atmosfera e che sta contribuendo in maniera importante al riscaldamento del pianeta con conseguenze catastrofiche da un punto di vista climatico e di popolamento animale.
Ovviamente questa riconversione non è impresa da poco ed avrebbe importanti ripercussioni non solo sull’occupazione degli addetti nel settore dell’allevamento ma anche a livello di biodiversità e culturale. Ipotizziamo di voler rendere agricola una zona, come quella della regione del Sahel, votata da anni all’allevamento: quali conseguenze, anche culturali, avrebbero su quelle popolazioni che fanno della carne il principale mezzo di sostentamento?
Che la carne rossa non sia in non plus ultra per la propria salute è cosa risaputa, per questo qualsiasi dieta ne consiglia un uso molto razionato nel corso della settimana. In un mondo vegetariano al 100% il tasso di mortalità calerebbe tra il 6 e il 10 per cento a causa dell’importante diminuzioni di malattie cardiovascolari, alcune forme di cancro e di patologie cronicizzate.
Tuttavia non dobbiamo mai dimenticare come la carne rappresenti un vero e proprio patrimonio economico, sociale e culturale di tante parti del mondo; la carne è l’elemento fondamentale di feste e riti folcloristici sempre radicati nella cultura dei popoli. In Italia abbiamo una delle migliori carni del mondo peraltro sottoposte a controlli estremamente rigidi soprattutto a seguito dell’introduzione della carta di identità che ci racconta l’intera filiera di ciò che troviamo nei nostri supermercati e macellerie.
Come possiamo attenuare gli effetti del consumo di carne? Un detto popolare dice che “il troppo stroppia” e vale anche in questo caso: se vogliamo tentare di avere una vita più salutare e contemporaneamente non gravare il mondo con un consumo smisurato di carne consentendo a tutti quelli che lavorano nel settore di mantenere il proprio posto di lavoro è bene attenersi a quanto prevede l’Organizzazione mondiale della Sanità che consiglia il consumo di carne una o al massimo due volte a settimana: questo già consentirebbe, su larga scala e nel lungo periodo già di avere benefici in termini di sostenibilità ambientale. Anche un abbassamento dei prezzi di frutta e di verdura potrebbe favorire questa lenta trasmigrazione dalla bistecca di manzo ad una macedonia: in fin dei conti costa meno, ha un impatto minore e, soprattutto, fa decisamente meglio.
La Dieta Mediterranea divenuta Patrimonio Immateriale dell’Unesco dal 2010 consiglia (e in alcuni casi impone) un consumo di carne davvero minimo favorendo oltre all’attività fisica regolare anche un consumo maggiore di frutta, legumi e verdure ponendo molta attenzione a latte e latticini che vanno consumati con raziocinio.
Scegliere cosa mangiare è difficile, ci sono fattori culturali, sociali, di gusto che ci condizionano tutti i giorni: non c’è nulla di male essere vegani o vegetariani integrali, ma bisogna anche comprendere le implicazioni intrinseche di tale scelta. La ricetta ideale è una: di tutto un po’, movimento fisico e attenzione a scegliere alimenti di qualità.
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