“L’insostenibile leggerezza della moda” – l’intervento di Barbara Molinario all’Italia Green Film Festival
Dal 14 al 23 Aprile, la città di Roma ha accolto l’Italia Green Film Festival, una rassegna cinematografica durante la quale sono stati proiettati oltre 300 tra film e cortometraggi su temi quali la sostenibilità, l’ecologia, l’ambiente ed il sociale. Il festival è stato ideato dall’art director Pierre Marchionne.
Fra proiezioni e GreenTalk, spazio anche all’informazione green, con interventi come quello tenuto dal nostro Presidente, Barbara Molinario, dal titolo “L’insostenibile leggerezza della moda”, che si è tenuto lo scorso 22 Aprile presso l’Acquario di Roma.
L’insostenibile leggerezza della moda
“Green, sostenibile, upcycling, moda conscious, eco, bio, organic”: se queste keywords fino a qualche anno fa erano pressoché usate solo in canali di nicchia, oggi sono diventate parte integrante della comunicazione moda. Le riviste di settore hanno puntato il focus sulla moda green, così come su cosmetici che siano naturali, biologici e senza sostanze chimiche ed inquinanti. Ed è subito green-mania.
Occhio, però, a non cadere nella trappola del green: se da un lato è un bene che il consumatore prediliga capi, accessori e cosmetici dall’etichetta verde, dall’altro, il marketing dietro questi prodotti è spesso ingannevole. Una pelliccia sintetica può essere chiamata “Eco” pelliccia? Sicuramente non verranno uccisi animali per realizzarla, ma cosa c’è di “Eco” in un capo in poliuretano? Si tratta di un materiale non biodegradabile, ed infatti, come ha sottolineato Lady Fur: “Le fibre derivano dal petrolio, come la plastica, non sono biodegradabili e inquinano l’ambiente. C’è una grande confusione”.
L’industria della moda è una delle più impattanti al mondo, sopratutto quando parliamo di fast fashion. Come può una t-shirt in cotone costare pochi euro? Parliamo di un prodotto che deve essere seminato, cresciuto, raccolto, setacciato, filato, tagliato e cucito, lavorato, stampato, etichettato, impacchettato e trasportato.
Con l’avvento del fast-fashion, lo shopping è diventato una vera e propria febbre. Si acquista tanto e “male”. Questa leggerezza d’acquisto oggi non è più sostenibile. È stato stimato che il consumatore di oggi acquista il 60% di capi d’abbigliamento in più rispetto a vent’anni fa.
Riportiamo un dato che fa davvero riflettere: per la fabbricazione di una singola t-shirt servono 700 litri d’acqua, pari al fabbisogno di acqua di una persona per tre anni. Infatti il 20% dello spreco globale d’acqua è da attribuire al settore fashion, così come il 20% dell’inquinamento delle risorse idriche mondiali. Circa il 60% di tutti gli indumenti a livello globale è realizzato in poliestere, un materiale sintetico ottenuto con combustibili fossili e le cui fibre vengono disperse negli oceani: si tratta delle cosiddette microfibre, cioè le microplastiche rilasciate dai tessuti sintetici in lavatrice che arrecano danni enormi all’ambiente marino.
Secondo un’altra statistica pubblicata da McKinsey, ogni cittadino europeo produce più di 15 chili di rifiuti tessili in un anno. La maggior parte di questi finisce in discariche ed inceneritori, perchè difficilmente riutilizzabili.
Non parliamo solo di danni all’ambiente, ma anche di danni alla salute. Molti capi di abbigliamento contengono sostanze tossiche per l’uomo. Alcuni composti chimici possono alterare il nostro sistema ormonale, altri quello riproduttivo. Molte sostanze sono persistenti nell’ambiente perché non si degradano facilmente e si accumulano negli organismi viventi, fino ad arrivare all’uomo.
La domanda sorge spontanea: cosa fare adesso? Dobbiamo essere sinceri e poco utopistici: sarà immensamente difficile rieducarci e far a meno delle nostre nuove abitudini. Sarà estremamente complicato tornare indietro ed acquistare meno, molto meno. Possiamo però, pian piano, quantomeno iniziare a comprare “meglio”. E per farlo, abbiamo anche bisogno di un “aiuto” esterno. Fra gli obiettivi delle Nazioni Unite sottolineamo:
- garantire il diritto del consumatore ad essere informato e consapevole riguardo i problemi di
sviluppo sostenibile
- monitorare l’utilizzo di microfibre e microplastiche che vengono rilasciate in acqua e ridurre la generazione di rifiuti chimici nel processo produttivo.
Il vantaggio dei nostri tempi è la libertà della scelta, perchè rispetto a venti o trenta anni fa ed anche grazie all’avvento di internet, abbiamo la possibilità di conoscere piccole realtà. Giovani brand virtuosi che trasformano gli scarti tessili in capi alla moda e sostenibili. Grazie alla rete, possiamo acquistare il second hand direttamente dagli armadi degli altri, senza sperare in un colpo di fortuna al negozietto vintage. Vinted, Depop, Svuotaly, Vestiaire Collective: una scelta così ampia e variegata da poter soddisfare le esigenze di tutti.
Ma sopratutto: basta capi usa e getta: cambiamoci di meno, salveremo l’ambiente!
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