Tu lo sai cos’è l’economia circolare?
Ne parliamo con esperti che la vivono, la studiano, ne hanno fatto il loro lavoro.
Di Barbara Molinario
Intervista a Roberto Cavallo
Che cos’è l’economia circolare? È un sistema, un modello, che pone “al centro” la sostenibilità, la caratteristica principale si basa sul fatto che non esistono prodotti di scarto e le materie vengono costantemente riutilizzate. Si contrappone al sistema utilizzato fino ad oggi cosiddetto lineare che parte da una materia e finisce con un rifiuto.
Roberto Cavallo, esperto di ambiente, simpaticamente il suo lavoro viene identificato come “rifiutologo”. Volto noto del programma televisivo Nemo, è da poco sbarcato al cinema, ed in tutte le scuole italiane, con il film Immondezza, nel quale corre attraverso l’Italia raccogliendo l’immondizia lasciata per le strade, appunto. Realizza numerosi progetti con l’appoggio del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare.
Voce autorevole e preparata per raccontare a cuore aperto di una pratica di cui tutti sentiamo parlare, ma sappiamo davvero cos’è “L’Economia Circolare”?
Credi che l’economia circolare sia la soluzione per rivolvere i problemi di inquinamento del nostro mondo?
L’economia circolare, come molti altri approcci economici teorizzati in questi anni, dalla blu economy alla sharing economy alla green economy, a mio avviso affonda il suo valore nel pensare a livello sistemico.
In particolare penso che la vera questione economica sia la competitività dell’accesso alle risorse e il modello di gestione delle stesse.
Se vogliamo garantire la vita ai 9 o 11 miliardi di individui che abiteranno la Terra nei prossimi anni, se vogliamo gestire i territori con una relativa pace sociale, se vogliamo sopravvivere ai fenomeni atmosferici, solo per fare alcuni esempi, non possiamo non cambiare modo di fare economia.
L’economia basata su estrazione delle risorse a qualunque costo, raffinazione e trasformazione delle materie prime senza attenzioni sociali e ambientali, distribuzione senza parametri di equità, consumo senza preoccuparci di cosa fare e dove finiscano gli scarti è un’economia dissipativa.
Questo modello che ha caratterizzato gli ultimi due secoli della vita dell’uomo è un modello che ha creato benessere per un 20% della popolazione mondiale, ma ha condizionato l’atmosfera dell’intero pianeta e sta lasciando eredità per le prossime dieci generazioni.
Ma secondo te l’economia circolare in Italia esiste davvero, oppure se ne parla soltanto?
Alcuni principi di economia circolare in Italia sono sempre esistiti e per questa ragione possiamo giocare un ruolo da Leader nel mondo. Peccato che soprattutto la classe politica non lo abbia capito. Noi siamo quelli che hanno inventato la crema dolce da spalmare sostituendo il cacao con le nocciole perché ce le avevamo a portata di mano utilizzando i gusci di nocciola per riscaldare gli ambienti dove lavoravano gli operai; siamo quelli che hanno le migliori ricette al mondo con il cibo avanzato (dallo Sciattamaiu in Liguria alla Calandraca friulana, dalla Panzanella della Ciociaria, alle virtù a Teramo); siamo i maggior produttori al mondo di campi di calcio con pneumatici riciclati e abbiamo le fonderie più performanti in Europa che riciclano acciaio e alluminio.
Ciò che manca è la capacità di fare sistema che, come ho detto prima, è l’ingrediente fondamentale dell’economia circolare. Abbiamo i designer migliori al mondo, ma facciamo fatica a fare packaging riciclabile; inventiamo la plastica biodegradabile compostabile, ma non investiamo in prevenzione.
Vorrei porre l’attenzione sul “non produrre” piuttosto che sul “come fare a riciclare”.
L’economia circolare richiede di passare dalla logica del prodotto a quella del servizio.
Dobbiamo in pratica diminuire l’intensità di capitale per unità di prodotto ed aumentare l’intensità di lavoro. Anziché usare e cambiare dobbiamo tornare e ricondizionare e riutilizzare.
L’esempio più facile da capire è quello delle tovaglie del ristornate o delle lenzuola in un albergo. Un ristorante di classe o una SPA di lusso non cambiano la biancheria ad ogni cliente, ma la lavano e la ricondizionano cercando i tessuti migliori.
Ecco in questo modo dovremmo concepire gli oggetti da quelli elettronici agli imballaggi: in fondo l’accappatoio è il nostro imballaggio di quando usciamo dalla doccia, lo possiamo usare e riusare, anche se lo ha utilizzato qualcun altro.
Esistono già delle leggi a tal merito?
Le norme esistono, dalla direttiva quadro sulla gestione dei rifiuti che, all’articolo 4, laddove definisce la gerarchia di gestione, impone che prima di tutto occorre ridurre i rifiuti e in seconda battuta preparare gli oggetti per essere riutilizzati.
Esiste poi la Responsabilità Estesa del Produttore, ovvero chi produce un bene che, prima o dopo, è destinato a diventare rifiuti ne ha la responsabilità fino alla fine. In un’espressione efficace William McDonough ha descritto questo nuovo modo di concepire la vita di un prodotto “dalla culla alla culla” anziché dalla culla alla tomba.
Ma quanto si ricicla? Che prospettive hai rispetto a questo, credi che riusciremo in breve tempo ad adottare un comportamento adeguato?
Accanto all’analisi per territori vasti, come le regioni, occorre considerare che ancora una volta l’Italia fa fatica a fare sistema. Mentre in altri Paesi a decisioni centralizzate, come ad esempio la Francia, la media rappresenta piuttosto bene l’andamento nazionale, per l’Italia non si può affermare altrettanto.
In Regioni mediamente virtuose come il Piemonte che è attorno al 55% di raccolta differenziata ci sono comuni all’85% e comuni al 15%, così come in Regioni che fano fatica a fare la raccolta differenziata come la Sicilia ci sono realtà che superano il 70%.
Infine sottolineo l’importanza del termine che hai utilizzato nella tua domanda: quanto si ricicla. È proprio questo l’obiettivo che dobbiamo porci, ovvero passare dalla percentuale di raccolta differenziata alla percentuale di riciclo, o, meglio ancora, alla quantità finale da avviare a smaltimento.
Affinché l’economia circolare abbia un suo completo compimento dovremmo introdurre un obiettivo di quantità massima di rifiuti da smaltire, in questo senso prevenzione, riuso e riciclo sono azioni che vengono di conseguenza. I territori oggi più organizzati ci consentono di affermare che 50 kg/ab anno di rifiuti urbani indifferenziati è un obiettivo raggiungibile.
Approfitto delle tue colonne per lanciare una proposta: fissiamo in 50 kg/ab anno il nuovo obiettivo da raggiungere entro il 2035 con la nuova legge di recepimento della nuova direttiva comunitaria!
Quanto è correlato il riscaldamento globale al problema dei rifiuti?
Questa è una domanda complessa che meriterebbe un articolo a sé. Basti questo dato: una gestione tradizionale del ciclo dei rifiuti, ovvero uno spostamento dalla discarica al riciclo contribuisce al contenimento delle emissioni per circa un 3%. Lavorare sull’ecodesign, sulla prevenzione, sul riuso, significa evitare emissioni fino al 40%!
La best practice per Roberto Cavallo:
Gli esempi sono, l’Italia ha tantissime buone pratiche. Mi limito a ricordare gli esempi che ho raccontato su Rai3 con Scala Mercalli, dalla raccolta differenziata e tariffazione puntuale della provincia di Treviso agli impianti di riciclo dell’alluminio vicino a Bergamo o di acciaio a Catania; dalle vetrerie meridionali di Castellana Grotte agli impianti di compostaggio come quello di Santhià in Piemonte; fino ai distretti industriali come la rete di imprese 100% Campania o alle eccellenze per il riciclo delle terre rare a Rho.
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