Tu lo sai cos’è l’economia circolare?
Ne parliamo con esperti che la vivono, la studiano, ne hanno fatto il loro lavoro.
Di Barbara Molinario
Intervista a Alessio Mastroianni
Alessio Mastroianni, Biologo ambientale, opera principalmente nel ramo della consulenza ambientale, igiene alimentare e sicurezza sui luoghi di lavoro. Coordinatore Gruppo di lavoro Ambiente ed Energia dei Giovani di Unindustria Lazio. Legale rappresentante della OSI srl – Organizzazione Servizi Industriali.
Alessio, esistono delle best practice in Italia per quanto riguarda l’economia circolare?
Vorrei anzitutto soffermarmi sul concetto di best practice analizzandolo sotto un profilo trasversale che investe più ambiti di applicazione. Una “buona prassi” deve partire necessariamente da un obiettivo che si traduca in un miglioramento continuo della condizione sociale e, in ottica imprenditoriale, lavorativa e di risultato.
Occupandomi di consulenza ambientale ho la fortuna di relazionarmi con numerose aziende che manifestano una forte sensibilità verso l’adozione di migliori tecnologie disponibili, disposte quindi ad investire al fine di migliorare i processi produttivi e gestionali interni.
È doveroso altresì chiarire che, qualora sussista un fattore economico limitante, lo stesso non dovrebbe mai precludere un percorso di crescita. Si può evolvere anche senza ricorrere ad investimenti impiantistici e strumentali consistenti, ma cambiando abitudini obsolete e mettendo in campo una buona dose di creatività manageriale: formazione continua ed attività di ricerca e sviluppo sono un ottimo strumento di crescita.
Ma gli imprenditori (oggi) capiscono quanto sia importante adottare le pratiche virtuose del riciclo in Azienda?
Infatti l’altro aspetto da prendere in considerazione è il contesto imprenditoriale in cui l’Azienda opera. In un settore ad esempio come quello dei rifiuti il voler investire anche ingenti capitali per adeguare le proprie tecnologie, o addirittura ipotizzare l’inizio di un’attività, potrebbe rappresentare condizione necessaria ma non affatto sufficiente.
Molte associazioni ambientaliste infatti, fortunatamente non tutte, alla sola parola “rifiuto” mettono in campo evidenti barricate, senza neanche prendere in considerazione gli effettivi vantaggi che potrebbero scaturirne per la collettività. In questo caso è come se la buona pratica dimori solo nel grande concetto di raccolta differenziata senza volontariamente riflettere su come, senza impianti di trattamento dove poter conferire, si torni sempre al punto di partenza.
Un gioco dell’oca che fa leva principalmente su aspetti cruciali per la vita di un uomo, come l’igiene e la salute, spesso proponendo dati e numeri senza alcuna rilevanza scientifica e statistica. Una strumentalizzazione che alimenta consenso e che si traduce come fattore politico limitante, a mio avviso uno dei più difficili da scardinare.
Quindi cosa dovremmo fare per superare le “barriere” fisiche o mentali che ci impediscono di attuare “bone pratiche”?
Ci troviamo ad un livello dove paradossalmente la buona pratica potrebbe consistere nella semplice educazione, che insegni a trattare il rifiuto come realmente merita di essere considerato: una risorsa destinata ad essere trasformata per il bene di tutti, non interrata a vantaggio di pochi.
La buona pratica per Alessio Mastroianni:
Fortunatamente esistono casi, anche in Italia, in cui sono state adottate soluzioni tecnologicamente avanzate che garantiscono elevati standard di prestazione e con impatto ambientale estremamente ridotto, non dimentichiamo come quello di Brescia sia stato considerato da subito tra i migliori termovalorizzatori d’Europa.
È evidente come esista una discriminazione geografica in tal senso, che pone le regioni del nord sicuramente ad uno stadio di ricettività avanzato anche in termini di coscienza civile. Molto spesso purtroppo da alcune regioni si è costretti a ricorrere persino all’ausilio di altre nazioni, che ringraziamo.
Questo fattore geografico limitante genera una discrepanza enorme a livello territoriale e pone una serie di interrogativi soprattutto in ottica di attrattività degli investimenti. Che certezza ho infatti di ricevere le giuste autorizzazioni per poter operare? Soprattutto in che tempi? Dubito seriamente infatti che non ci siano imprenditori disposti ad investire dove è palese una reale esigenza.
Ritengo che la combinazione dei fattori che ho elencato sia alla base di uno sviluppo di una vera Economia Circolare. Se manca uno solo di questi, il cerchio non si chiude.
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