Moda sostenibile, il dossier di Greenpeace sancisce che non può prescindere dal riciclo degli abiti

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Lenta, concentrica e a basso impatto, le tre manovre della ricetta per una moda sostenibile e funzionale al pianeta. Ma è davvero possibile una moda sostenibile? Appena iniziata la settimana della moda di Milano, Greenpeace ha reso noto il suo rapporto secondo cui esisterebbero soluzioni e best practice già disponibili per rendere la moda pulita e sostenibile molto più che un’agognata chimera. Ciò che rimane ancora una sfida oggi è il riciclo degli abiti che tuttavia rimane ancora un’idea difficile da realizzare.

Secondo la stessa Greenpeace sarebbe necessaria una moda slow che richieda compromessi di natura etica, sociale ma soprattutto a livello ambientale che si allontani dal fast fashion che porta un consumo eccessivo costante di capi d’abbigliamento dall’alto impatto ambientale.

Questo problema si presenta soprattutto in paesi occidentali dove domina il consumismo eccessivo delle grandi marche, la stragrande varietà di indumenti viene smaltita assieme a rifiuti ordinari domestici, finendo nelle discariche generali e negli inceneritori.

Nella maggior parte dei casi non si tratta di eccezioni ma di regole, basti pensare che questa è la sorte di almeno l’80% degli indumenti di tutti i giorni che non più utilizzati e non più di tendenza, finiscono per essere velocemente scartati nel dimenticatoio prima e successivamente nella pattumiera.

Questo se non contiamo che ad oggi vi è uno scarso interesse generale nell’investimento green che possa sviluppare tecnologie in grado di riadattare delle fibre naturali e sintetiche e che quindi permetta di riciclare indumenti e abiti.

Da quanto conferma anche Greenpeace ad oggi il riciclo del poliestere nell’industria della moda ha poco a che fare con la moda, in pochi infatti sanno che questo è lo stesso che avviene per il PET delle bottiglie in plastica. Con il suo rapporto Fashion at the Crossroads, Greenpeace, leader mondiale della salvaguardia ambientale del pianeta, evidenzia in modo chiaro ed evidente tutte le carenze e le falle di un sistema, quello tessile e dunque delle grandi marche, incapace, sostanzialmente di rendere conto della sua carenza di prospettive per un futuro adattato alla sostenibilità e che preveda la protezione degli spazi.

Oltre a questo però segue anche una nota positiva soprattutto sotto la voce della campagna di “disintossicazione” Detox, portata avanti da Greenpeace che ha coinvolto più di 80 marchi internazionalmente riconosciuti nel settore fashion, tra cui c’è da sottolineare, 50 produzioni made in Italy.

Insomma la strada è tutta in salita, ma almeno le basi per essa sembrano essere state tracciate.

Editor: Michael Singleton

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