Da mascherina a cigno… a sposa : intervista a Giovanni Di Mauro, finalista del contest #roadtogreen 2021
In questa intervista, il finalista del contest dedicato alla sostenibilità racconta un progetto di Storia, artigianato e riciclo per un approccio ecologico nell’industria della moda.
In questo secondo appuntamento, ho avuto il piacere di intervistare Giovanni Di Mauro, che ha saputo elaborare un progetto personale, caratterizzato da una lavorazione sartoriale e un approccio ecologico. Denominato Il Cigno nero, che indica un imprevisto razionalizzato a posteriori, si tratta di un abito da sposa composto da mascherine chirurgiche e delle piume a simboleggiare proprio il piumaggio dell’elegante animale. Il suo creatore ha voluto tracciare una linea rossa che collegasse il secondo dopoguerra e la crisi sanitaria da Covid-19, dal momento che oggi come allora stiamo vivendo una grave crisi sociale, economica e umanitaria. Tuttavia, come ha dimostrato Giovanni Di Mauro, le difficoltà sono un ottimo spunto per la rinascita, che annuncia momenti irripetibili di creatività. Questa ambiziosa ricerca non è passata di certo inosservata dalla giuria del contest #roadtogreen 2021 che è stato premiato con menzioni speciali da parte di Ida Galati de “Le Stanze della Moda” e Michela Monaco di “Sbottonando”.
Giovanni Di Mauro. L’intervista.
Sono Giovanni di Mauro, ho 21 anni, nativo di Mattinata, un piccolo paesino della Puglia. Frequento l’Accademia di Belle Arti di Brera. Fin dalla scuola dell’infanzia ho manifestato grandissime abilità manuali e senso della prospettiva, riuscivo a scrivere con entrambe le mani, doti innate che non mi hanno mai abbandonato e che, con il passare del tempo, sono diventate delle vere e proprie passioni. Per questo motivo durante i primi quindici anni della mia vita mi sono cimentato nelle arti visive da autodidatta e dopo aver conseguito la maturità classica mi sono iscritto all’Accademia di Belle Arti di Brera, dipartimento di design, per capire ed imparare nuovi mezzi espressivi.
Il Suo progetto nasce come una riflessione su una specie di analogia fra il secondo dopoguerra e la pandemia da Covid-19. Com’è nata un’ispirazione così personale?
Il Cigno Nero è un progetto che nasce in più fasi. La prima è una profonda analisi personale sugli eventi accaduti tra il gennaio e il dicembre 2020, mentre la seconda è stata stimolata da un esame di ecodesign che ho tenuto in accademia dopo il lockdown; nulla di più puntuale. Ho cominciato a studiare e lavorare il materiale che da circa un anno nascondeva il sorriso: la mascherina chirurgica. Ne sono venute fuori varie texture, prototipi di tessuti ed è in questa fase che il progetto, cioè “l’abito da sposa”, matura e si concretizza: infatti questo nasce non solo dallo studio dei materiali, ma soprattutto dai racconti di mia Nonna Rosa che ha vissuto la tragedia della Seconda Guerra Mondiale. Si tratta un periodo storico molto simile a quello della pandemia da Covid, poiché la gente ha conosciuto la morte, la povertà e la disperazione; nonostante tutto ha ricercato con tenacia una sorta di normalità. Si guardava comunque al futuro con ottimismo. I bambini nascevano e gli innamorati si sposavano in vista di un domani migliore. Le signore del mio paese, quando nel 1944 arrivarono gli alleati americani, raccolsero i teli bianchi dei paracaduti e ne cucirono degli abiti da sposa. Come le signore del paese, anche io ho creato un abito da sposa che, quindi, vuole essere un simbolo di ottimismo per il futuro e di forza, non solo per quanto riguarda le nozze ostacolate, ma soprattutto per il presente divenuto difficile.
Dal Suo progetto traspare una notevole conoscenza della modellistica e della sartoria. Cosa può dirci a riguardo?
Per quanto riguarda la realizzazione dell’abito, ho studiato molto la linea che desideravo avesse. Volevo che fosse slanciato e capace di regalare una sensazione di leggerezza. L’intento è stato quello di creare un prototipo, perché ho lavorato nel mio studio di pittura e non di sartoria. Perciò mi sono dato da fare come autodidatta – mi è sempre piaciuto fare così: ho creato dei cartamodelli, ho tagliato la stoffa e infine cucito. Non ho pensato a cerniere o aperture, perché ho lavorato direttamente su manichino, cercando cercato di plasmare le mie idee al meglio. Del resto, sapevo quello che volevo. Alla fine è risultato un prototipo di abito molto ben riuscito. Questo modello perciò non è indossabile, ma è possibile replicarlo e modificarlo affinché possa esserlo.
Secondo Lei, come potrebbe l’ecologia arricchire il panorama della moda e dello stile italiano?
Siamo tutti molto impegnati a tamponare gli errori fatti e i danni procurati al nostro pianeta. Penso che l’impegno di tutto il mondo della moda debba rivolgersi non solo al riciclo, ma soprattutto alla creazione di materiali naturali e facilmente smaltibili. È fondamentale rendere parte integrante di questa cultura il fast fashion, a cui attinge la maggior parte della popolazione. La tecnologia è dalla nostra parte, come testimonia la creazione della orange fiber.
Perché ha scelto di partecipare al contest #roadtogreen 2021?
Ho saputo di Road to Green 2020 tramite un video tiktok di Ida Galati, e dopo essermi informato sull’associazione e sugli obiettivi, ho deciso di iscrivermi con questo progetto a cui stavo lavorando da almeno quattro mesi.
Di Costante Torcini
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