di Roberto Cavallo
Una delle sfide dell’economia circolare che ci attende è ridurre la quantità di rifiuti, sia urbani, che sono circa 500 kg pro capite, sia industriali, i cosiddetti speciali, che sono molti di più.
Immaginiamo che in Italia si producono circa 30 milioni di tonnellate all’anno di rifiuti urbani e 120 milioni di rifiuti speciali. Parliamo di stima perché, ahimè, non tutti sono mappati e controllati, e per molti non si ha una vera e propria tracciabilità.
Purtroppo, Legambiente e il dossier Ecomafie ci restituiscono dati allarmanti rispetto ai milioni di tonnellate di cui si perdono le tracce. In parte vengono inabissati in laghi e mari, in parte prendono la via di paesi dell’Est o paesi dell’Africa, senza che noi ne abbiamo più traccia. La stima che facciamo non è precisissima, ma a livello europeo possiamo presupporre un rapporto di 1:7, cioè 1 kg di rifiuti urbani ogni 7 kg di rifiuti speciali.
Quindi la nostra pattumiera è un po’ come la punta di un iceberg: sotto la superficie ci sono i rifiuti industriali, composti dalle materie prime che l’industria consuma e le risorse naturali.
Già molte aziende si stanno impegnando nel ridurre i rifiuti. Non molti sanno che l’Italia è uno dei maggiori produttori al mondo di sacchi industriali in bioplastica, ad esempio per i mangimi, che, una volta svuotati, possono essere facilmente trattati all’interno dell’azienda agricola stessa, nella propria letamaia.
In questo modo l’azienda agricola stessa può attivare un processo di economia circolare interna. Chi concepisce un prodotto, lo dovrebbe fare utilizzando la minor quantità possibile di risorse naturali primarie, facendo in modo che sia assemblato con singoli componenti facilmente separabili, fatti con un materiale facilmente riciclabile a fine vita.
Accanto all’eco design un’altra cosa importante è l’aumento della durata della vita del prodotto stesso, quindi un uso multiplo. Dobbiamo intervenire alla svelta, e l’Unione Europea ci dice di invertire questa rotta.
Ciascuno di noi, ogni giorno, può fare la differenza. Ad esempio, chi ha la fortuna di avere un’acqua buona del rubinetto, può berla evitando di comprarla in bottiglia e riducendo il consumo di plastica, chi ha un orto, un giardino, o un terrazzo può fare il compostaggio domestico, cioè produrre terriccio a partire dai propri scarti. Dal momento che questi sono il 30% abbondante delle nostre pattumiere, vuol dire risparmiare 100-150 kg per abitante all’anno.
C’è poi il mondo della riparazione, del riutilizzo, dello scambio. La nostra pattumiera per un buon 7-8% è costituita da oggetti durevoli, che gettiamo via solo perché non ci servono più.
Poter contare su dei processi di scambio e riutilizzo è quanto mai importante; il riutilizzo è in assoluto l’azione che ha un minor impatto ambientale e fa risparmiare la maggior quantità di CO2. 1 Kg di materiale riutilizzato abbatte fino a 20 kg di CO2 che sarebbero stati immessi nell’atmosfera. Anche la riparazione ha gli stessi effetti benefici e crea posti di lavoro vicino a noi.
Poi c’è il mondo dell’auto produzione. Tornare a farci le cose in casa significa riacquistare un po’ di saperi tradizionali, dedicare del tempo ai nostri affetti per farlo insieme, rinnovare il senso di comunità, ma anche evitare imballaggi usa e getta e la necessità di trasportare le merci.
Queste sono le buone prassi. E poi c’è tutto il mondo dell’usa e getta.
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