African Fashion Gate: il razzismo non va più di moda

Per la prima volta il Parlamento Europeo di Bruxelles aderisce e promuove un’iniziativa che ha per oggetto il patinato e sfavillante mondo della moda. Il 20 Febbraio, infatti, si è tenuto l’evento ‘La Moda Veste la Pace – Congresso Mondiale delle Donne, della Moda e del Design’, strutturato e avviato da African Fashion Gate.

 

 Ma cos’è African Fashion Gate?

AFG nasce a Dakar, Senegal, nel 2014 ed è un’associazione senza scopo di lucro e Laboratorio Etico Permanente Contro i Fenomeni di Razzismo, Xenofobia e Antisemitismo nella Moda, nelle Arti e nello Spettacolo. Obiettivo primario: incoraggiare la pacifica convivenza tra religioni differenti.

‘La Moda Veste la Pace’ è l’immagine di una moda diversa. Una moda portatrice di messaggi sociali profondi, una moda che possiede una moralità, una moda ostentatrice di sostanza piuttosto che di apparenza. 

Nel corso dell’evento a Valentino Garavani è andato il titolo di uomo di Moda e di Pace per aver realizzato nel 1991, durante la guerra del Golfo, il famoso “Peace Dress”: il lungo abito bianco con su ricamata appunto la parola “Pace” in quattordici lingue diverse. Non avendo potuto presenziare il 20 Febbraio, lo stilista ritirerà il premio, una riproduzione del “Peace Dress” placcato in oro ventiquattro carati, alla sfilata-evento di African Fashion Gate che si terrà a Settembre al museo del Louvre di Parigi.

Oltre a ciò, nel pomeriggio, è stato consegnato il Premio Internazionale Giornalismo della Moda ai giornalisti che si sono contraddistinti per l’interesse e l’impegno profusi nella battaglia alle forme di razzismo ancora, purtroppo, esistenti. Questi giornalisti sono: Veronica Timperi, Gruppo Caltagirone; Federico Poletti, La Repubblica; Luca Mattiucci, Corriere della Sera; Leonardo Metalli, TG1 – Rai Uno.

Con Veronica Timperi abbiamo avuto il piacere di parlare.

 

Veronica, cosa rappresenta per te questo premio?

Sono davvero contenta di aver  ricevuto questo riconoscimento e di averlo ritirato al Parlamento Europeo, un’istituzione in cui credo molto e che dovrebbe farsi carico di istanze come quella di Africa Fashion Gate che lotta contro il razzismo nella moda, proprio in virtù di ciò che rappresenta: un crocevia di popoli uniti dal concetto di Europa. Questo premio è un simbolo. Come a dire che la moda può farsi portavoce di messaggi importanti e socialmente utili. 

 

Qual è il tuo rapporto con queste tematiche?

Raccontare una moda diversa, emergente e di denuncia etico sociale è stato stimolante e mi ha aperto un mondo sconosciuto. Mai avrei creduto che con la globalizzazione dei mercati, con l’apertura creata da internet e dai social nel campo multimilionario della moda, si potesse parlare ancora di discriminazione e razzismo. Invece è un dato che fa pensare che in passerella e nelle campagne pubblicitarie vengano usate per lo più modelle bianche e non siano prese in considerazione altre etnie come gli Afro, i Latinos e gli Asiatici che, in paesi come gli Stati Uniti sono comunità dai grandi numeri.   
 
 

Cosa si può fare per smuovere maggiormente l’opinione pubblica rispetto a questo tema?

 
L’arma più efficace è la conoscenza. Sensibilizzare le persone sull’argomento è un dovere morale ma anche civico e i giornalisti hanno tutti gli strumenti per farlo dando spazio ad una moda meno patinata, lussuosa e a volte ipocrita per dar voce a delle belle storie di integrazione ed inclusione sicuramente più reali.